Acero palmato ishizuki

A sentire gli esperti, in ogni collezione e soprattutto negli allestimenti shohin non può mancare un bonsai su roccia. Personalmente non dico che ho intenzione di esporre le mie piante, ma effettivamente mi manca un ishizuki del tipo detto ‘radicato su roccia‘ che rappresenta una pianta cresciuta su una roccia coperta da materiale soffice (terreno, residui di foglie o aghi, corteccia…) che inizialmente ha permesso lo sviluppo delle radici (allungamento) e poi col passare del tempo quel ‘terreno’ si è ‘perso’ venendo dilavato, esaurito piuttosto che franato: il risultato è così un albero che avvinghia la roccia con le proprie radici, ormai scoperte, che si approfondano nel terreno sottostante per ricercare acqua e nutrimenti. Il risultato mi pare un affascinante abbraccio di vita da parte dell’albero alla roccia che prima gli ha permesso di nascere e svilupparsi e poi ‘oggi’ lo sostiene.

Nei bonsai questa situazione viene riprodotta facendo allungare le radici delle piante da far radicare sulla roccia: le radici dovranno poi entrare nel terreno (che dovrà esserci…quindi serve un vaso) passando sotto alla roccia così da ‘stringerla’ a diventare tutt’uno con essa. Le tecniche utilizzate sono varie: uno molto diffuso è legare le radici ad una roccia e poi interrare il tutto per anni via via asportando un po’ di terra di anno in anno; di norma l’esito di queste operazioni sono o veri capolavori oppure delle piante ‘commerciali’ che sanno quasi di fatto in serie (e in effetti il sospetto c’è) senza sentimento (in pratica si comprerebbe la pianta radicata su roccia per poi potare drasticamente e ricostruire…): in ambo i casi il risultato è spendere un sacco di soldi per pagare (giustamente) il lavoro fatto da qualcun altro per qualche anno… ecco, un capolavoro costa enormemente mentre uno di quelli più ‘usuali’ per me non è un costo accettabile da sostenere. Così nel gennaio 2013 ho pensato di ‘fare da me’.

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Nell’estate del 2012 nel parcheggio del lago Calaita in Trentino ho raccolto questa pietra… era scura (ma non troppo) e mi ricordava un po’ il Monte Cervino (sì, ok: con molta fantasia…): qualcosa ci avrei fatto. Questa sarebbe stata la mia roccia!
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Ora mi serviva la pianta da far radicare sulla roccia… e le talee di acero palmato capitavano a fagiolo! Le avevo tagliate a inizio giugno 2012 e avevano risposto prontamente; prese dalla serra fredda le tirai fuori dal lettorino di terre di recupero (c’è un po’ di tutto: akadama riutilizzata, pomice, kiryu…) e in quei sei mesi avevano radicato un bel po’.

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Tra le talee ho scelto quella che aveva radici più lunghe, ma soprattutto che avesse una gemma molto vicina al piede: da quella gemma sarebbe poi nato (in futuro) il fusto della mia piantina radicata su roccia.

Bene: avevo il materiale!
Naturalmente avevo anche ‘il piano’ per agire: visto che la pianta idealmente radica su roccia perchè trova un materiale soffice che poi, dilavandosi, lascerà scoperte le radici che frattanto saranno affondate nel terreno sottostante… beh, avrei ricreato la stessa identica situazione! Come? Con la keto!
La keto è un terriccio fangoso molto malleabile che si prende dal fondo di paludi e risaie (quindi suppongo da acquitrini in generale) e che è costituito da terra, acqua, materiale organico decomposto (foglie, pesci e rane morte…)… cacca di pesce, insomma. Il problema legato alla keto è che asciugandosi si screpola e si rompe perdendo così tutte le proprietà; inoltre da asciutta è quasi impermeabile. Ma c’è un rimedio: mischiargli dell’akadama.

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Dunque, il piano era semplice: preso un vaso, preso un composto di coltivazione (akadama), presa una roccia… ci avrei messo sopra della keto dandole forma in modo da guidare la crescita delle nuove radici dell’acero che gli avrei messo sopra; avrei tenuto tutto fermo con della raffia e un po’ di filo di alluminio. L’unica foto che ho del momento… è quel che è…
Il piano idealmente avrebbe avuto un seguito: la pianta avrebbe attecchito, man mano le annaffiature avrebbero dilavato in modo naturale la keto (un po’ l’avrei staccata io), la raffia sarebbe marcita… insomma, la composizione sarebbe maturata.
Ecco, questo era il piano.

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Questo l’aspetto del tronco a metà luglio 2013… si nota che sulla destra c’è una radice che sta diventando molto grossa… praticamente tanto quanto il fusto… chissà come mai eh…

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Questa è (sempre luglio 2013) la vista per intero: ramo di sacrificio incluso.
Il ramo di sacrificio mi serve per dare energia alla pianta così da permetterle una buona crescita radicale che ‘abbracci’ la roccia e contemporaneamente ottenere un ingrossamento del tronco: poi il ramo verrà rimosso; il motivo per il quale ho scelto la talea con una gemma molto vicina al tronco era proprio per avere una linea sostitutiva credibile (immaginando la composizione) alla rimozione ramo di sacrificio.

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La situazione a ieri, 19 settembre 2013; la radice più a destra appare sempre più forte: la strozzerò con del filo prima di tagliarla (a primavera) in modo che la pianta si abitui alla nuova situazione senza subire inutili traumi.

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Particolare del tronco.

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Particolare della parte fino ad ora rimasta come ‘retro’ nelle foto: la raffia ormai si è consumata, la keto si sta dilavando e si iniziano ad intravedere le radici.

In programma per lui ho la strozzatura della radice di destra; la rimozione del ramo di sacrifico (prima mi confronterò con qualche esperto); gratterò un po’ di keto in autunno, un po’ in inverno (tanto resta nella serra fredda dove ho un’umidità del 93% e mai temperature sotto gli 0°C) e un po’ in primavera così da portare allo scoperto le radici; eventualmente in primavera effettuerò una selezione delle radici; non ho in programma un rinvaso.
Fino ad ora questa pianta è stata concimata solo in vista della crescita verde, dunque fornendogli un pizzico di ONE granulare.

Come modello finale del mio ‘piano’ ho la creazione di un radicato su roccia di taglia shohin (credo che la roccia debba avere una certa ‘importanza’… ed essendo piccola con taglie superiori andrebbe persa) a partire dalla gemma più vicina all’attaccatura delle radici, come fronte terrei quello che emerge dalle foto… in ogni caso non mi fascio troppo la testa: è un esperimento, un autentico gioco… e credo che chi gioca con me mi suggerirà come vorrà essere.

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